“La ferrovia sotterranea” di Colson Whitehead


L’abolizione della schiavitù non pose fine alle persecuzioni dei neri d’America. Anzi, in taluni stati del Sud l’accanimento divenne ancora più violento. Molti autori ne hanno scritto e diversi registi sono stati ispirati. Ultimo della fila è lo scrittore Colson Whitehead che con La ferrovia sotterranea si è aggiudicato il Premio Pulitzer 2017 e il National Book Award, incassando così una doppietta come non accadeva da tempo.

In un’America sempre più allo sbando in materia di diseguaglianze sociali, e con un presidente eletto particolarmente vicino al Ku Klux Klan, Whitehead colloca al centro del suo romanzo la questione razziale, raccontando una storia di schiavitù e deportazione ambientata nell’Ottocento.

Cora, la protagonista, è scappata dalla Georgia, dalla piantagione di cotone dov’è nata e dove sua madre l’ha abbandonata all’età di 10 anni. Cesar, però, le dice che c’è una speranza, un percorso segreto che attraversa tutti i paesi del Sud: la ferrovia sotterranea. Ma Cora non desidera fuggire. Per lei, cresciuta a suon di frustate, la libertà è un pensiero proibito. Fino a quando si rende conto di non avere scelta, poiché rimanere alla tenuta dei Randall significa assicurarsi soltanto una morta lenta e poco dignitosa.

La chiave di volta del romanzo è ciò che attribuisce il titolo all’opera, la quale diviene reale e metaforica al contempo. La ferrovia sotterranea era una rete di luoghi sicuri e di persone fidate gestita dagli abolizionisti, attraverso la quale era possibile aiutare gli schiavi a fuggire. Ma l’autore, per la sua storia, ha immaginato una linea ferroviaria sotterranea reale, fatta di locomotive, binari e stazioni, raccogliendo attorno ad essa un paradigma di significati e immagini.

L’intreccio si sviluppa seguendo la fuga di Cora attraverso gli stati della Carolina del Sud e del Nord, del Tennessee e dell’Indiana. Durante il cammino, Cora comprende come la schiavitù può assumere diverse forme ma avere sempre la stessa sostanza. La sterilizzazione strategica e gli esperimenti sugli schiavi sembrano essere soluzioni alternative ideate dai bianchi per contenere la questione dei neri. Ma esiste davvero una differenza?

Whitehead lavora alla sua opera da 14 anni. Il fatto che sia stata pubblicata negli anni dell’America di Trump è certo una coincidenza, ma appare più come una fatalità, come un’urgenza destinata ad esplodere. E La ferrovia sotterranea è davvero un libro esplosivo e impetuoso che ha scatenato una violenta tempesta riflessiva all’interno dell’opinione pubblica.

Qualcuno ha definito l’opera un romanzo storico, altri hanno visto un’eco del realismo magico di García Márquez. I più parlano di “Grande Romanzo Americano”. Whitehead tiene a precisare la sua posizione alla larga dalle etichette che lo vorrebbero incasellare come esponente di spicco del filone letterario prettamente afroamericano.

Il romanzo inevitabilmente si scontra con la condizione attuale degli afroamericani. Il razzismo è ormai radicato, e lo stesso Whitehead in una recente intervista ha parlato di virus. Un virus che si trasforma e trova sempre nuovi modi per infettare le relazioni sociali. Di conseguenza, scriverne è importante.

Un romanzo che parla di schiavitù, ma non solo. Una storia che affronta numerosi temi, quelli del mondo di oggi, nel quale, in fondo, siamo tutti schiavi. Schiavi senza catene di ferro ma pur sempre schiavi. Come scrive Whitehead: “La vita è la vetrina di un negozio che qualcuno allestisce mentre tu non guardi. E resta sempre irraggiungibile.”

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