Interviste
Sue Monk Kidd
Intervista: Sue Monk Kidd
A tutti sarà capitato di sentirsi invisibili, trasparenti, ignorati. Sue Monk Kidd, autrice del bestseller da un milione di copie “L’invenzione delle ali”, nelle librerie italiane dallo scorso marzo, afferma che nella storia degli Stati Uniti è successo a molti: neri, donne, poveri, omosessuali. Essere invisibili significa diventare irrilevanti, e quindi esposti a qualunque tipo di abuso. Il primo compito della cultura deve essere mostrarci le cose, obbligarci a vederle, perché solo così poi si possono notare, riconoscere e curare le ingiustizie.
“L’invenzione delle ali” narra la storia di Sarah Grimké, figlia di un ricca famiglia di Charleston, che agli inizi dell’800 diventa amica della sua schiava nera, Hetty, e si trasforma in una delle prime attiviste dell’abolizionismo e del femminismo.
In questo splendido romanzo, che celebra il potere dell'amicizia e della solidarietà al femminile, Sue Monk Kidd evoca il mondo di contrasti scioccanti del profondo Sud, ispirandosi alla storia vera di due pioniere del femminismo americano, donne anticonformiste e coraggiose che in tempi difficili e contro tutto e tutti hanno intrapreso un arduo e doloroso percorso personale che le ha allontanate dal loro entourage e dalla loro famiglia per potere restare fedeli ai loro ideali di uguaglianza e libertà.
Discriminazione, diritti civili, schiavitù, libertà, cultura, impegno: argomenti di cui non si parla, né scrive, mai abbastanza.
Noi di Spaginando vi proponiamo un estratto dell'interessante intervista realizzata da Paolo Mastrolilli all'autrice de “L’invenzione delle ali”, pubblicata sul sito web La Stampa.
Sarah è ispirata a una donna realmente esistita in South Carolina, che però era stata dimenticata. Perché?
«La sua eredità era macchiata. Era nata a Charleston ed era diventata abolizionista, assieme alla sorella Angelina, quando la sua comunità viveva sulla schiavitù. Era la pecora nera, e dopo la Guerra civile la sua memoria era stata bandita. Ora però non è più così. Charleston l’ha riabbracciata, è orgogliosa di lei, e a maggio le dedicherà una targa e una cerimonia commemorativa».
Barack Obama, celebrando il 50° anniversario di Selma, ha detto che «la marcia non è ancora finita». Ha ragione?
«Abbiamo fatto molta strada, ma ne resta ancora tanta da fare. Il razzismo in America è sistemico, non solo al Sud. Adesso è più difficile riconoscerlo, perché è più sottile, ma abbiamo un problema di privilegio dei bianchi, integrazione, polarizzazione razziale. È più sotterraneo, ma riemerge sempre quando esplodono le divisioni nella nostra società».
Per Sarah il problema era chiaro: la schiavitù andava abolita. Ma ora cosa bisogna fare?
«Agire sulle coscienze. Obama una volta lo ha detto: possiamo fare le leggi, ma come cambiamo i cuori e le teste? La stessa domanda fu posta a Martin Luther King, che rispose così: non posso sempre cambiare i cuori e le teste, ma posso evitare che mi schiaccino. Il rimedio non sta solo nella politica: dobbiamo lavorare sull’istruzione, la cultura, la religione, avere l’approccio più ampio possibile per sconfiggere il razzismo».
Sarah lavora sul cuore, diventando amica della sua schiava Hetty. Quanto è credibile e quanto è rilevante un rapporto così?
«È decisivo, perché ciò che rendiamo invisibile diventa anche irrilevante. Nell’800 in America c’erano molte persone buone che accettavano la schiavitù e non capivano quanto fosse sbagliata, perché l’avevano resa invisibile. Oggi quindi dobbiamo tornare a chiederci: quale male, schiavitù moderna o ingiustizia non vediamo? Cosa abbiamo reso invisibile nella nostra cultura? L’amicizia tra Sarah e Hetty dimostra quanto siano complesse queste relazioni, che nascono dalla divisione, dove da una parte c’è il privilegio e dall’altra lo svantaggio. Sarah avverte un profondo senso di colpa, Hetty prova risentimento e vergogna. Eppure riescono a sviluppare un qualche tipo di amore, che riporta tutte queste contraddizioni in superficie e le fa capire».
Il primo atto di ribellione di Sarah è insegnare a Hetty a leggere.
«All’inizio dell’800 nel Sud degli Stati Uniti era un reato. Perché la conoscenza è potere, l’istruzione libera la mente. Ancora da qui bisogna partire, oggi, per illuminare».
Il padre di Sarah capisce che la schiavitù è sbagliata, ma la difende per interesse. È ancora così col razzismo negli Usa?
«Allora l’economia del Sud era basata sulla schiavitù: chi vuole riconoscere una cosa del genere? Cambiare è difficile, perché richiede molto coraggio, ma anche perché bisogna avere la forza di vincere il proprio egoismo».
Sarah e Angelina sono anche due femministe primordiali, e il loro femminismo è ancora più contrastato dell’abolizionismo. Perché?
«Regole, convenienze radicate: la società era riluttante a mutare. Come spesso accade, però, vedere l’oppressione negli altri aiuta a riconoscerla in noi stesse. Sarah e Angelina la videro nello schiavismo e, combattendo per liberare i neri, si accorsero che anche loro erano vittime di enormi ingiustizie».
L’America ha eletto il primo presidente nero, ma questo non ha risolto il problema del razzismo: basterà mandare una donna alla Casa Bianca per risolvere le discriminazioni di genere?
«Sarebbe un enorme passo avanti. È vero, speravamo che l’elezione di Obama cambiasse le relazioni razziali, e invece c’è stata la reazione opposta. Succede sempre così, e capiterebbe anche dopo l’elezione di un presidente donna. Però io voglio vederla, nell’arco della mia vita. Angelina ebbe il coraggio di dirlo, nel 1837, davanti al parlamento del Massachusetts: una donna ha lo stesso diritto di un uomo di diventare presidente. Cambierebbe la percezione di noi stesse, per sempre».
Al di là di quello che ognuno pensa di Hillary Clinton come politica, la reazione alla sua candidatura è già evidente.
«La resistenza è enorme. Ci vorrà una donna di audacia straordinaria, per superarla».
La religione era l’altra grande passione di Sarah, e nello stesso tempo la grande limitazione. È ancora così?
«Convivono entrambi gli aspetti. All’inizio dell’800 la chiesa era una colonna dello schiavismo, e ciò dimostra come la religione possa essere usata per giustificare tutto quello che vogliamo. Nello stesso tempo, però, la religione ha guidato l’abolizionismo, con la compassione, più che con la giustizia sociale e la spinta verso l’eguaglianza davanti a Dio. In seguito proprio la giustizia sociale insita negli insegnamenti della religione ha animato personaggi come Martin Luther King. Ora è ancora così, ad esempio sul tema dei diritti dei gay, dove tra le persone di fede conservatrici e liberal si scontrano queste stesse due anime. Il mondo però ha bisogno che la spinta della religione verso la compassione e la giustizia sociale prevalga, per ritrovare la pace e cancellare le nuove ingiustizie».
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