Intervista: Marcello Marinisi

Marcello, perché scrivi? Per quale motivo hai deciso di mettere su carta quanto ti passava per la mente, piuttosto che fare altro? Qual è il "primo impulso" che ti spinge a scrivere?
Credo che per me scrivere sia un’urgenza. Io amo molto raccontare, è una cosa che mi viene naturale. Non parlo soltanto di narrativa, mi riferisco anche alle cose più banali, come raccontare un viaggio a un amico e così via. Quando guardo dentro a una storia da raccontare, sento come un istinto alla narrazione, come se i personaggi mi avessero affidato il compito di cronista delle loro vicende. È una bella responsabilità. Soprattutto perché, quando è davvero dentro di te, una storia non ti abbandona mai, fino alla fine. Sono sempre stato appassionato di giochi di ruolo e sin da bambino adoravo il ruolo del Master, mi piaceva inventare situazioni nuove, avventure mozzafiato che potessero permettere a me e ai miei amici di trascorrere qualche ora in piacevole compagnia. Se si guarda un attimo indietro alla mia infanzia e alla mia adolescenza, credo che la scrittura, e la scrittura fantasy in particolare, sia la naturale conseguenza del mio passato.
Credo che quello che hai chiamato “primo impulso” stia proprio in questa necessità innata di raccontare.

Come hai concepito la struttura della saga di Wardaron? Hai già un progetto più o meno complessivo e determinato per tutti i capitoli della stessa, oppure lavori e lavorerai “in progress”, stabilendone nel corso della scrittura l’evoluzione?
Sin dalle prime battute ho avvertito la necessità di creare una struttura entro la quale muovermi. Scrivere è un lavoro creativo, è vero, ma lavorare in pubblicità mi ha insegnato che la creatività ha bisogno di solidi confini entro cui muoversi, altrimenti si va alla deriva. Poi, ho trovato conforto nelle parole di Terry Brooks, nel suo A volte la magia funziona: credo molto nel valore della progettazione di un opera narrativa. Soprattutto quando si tratta di una saga complessa come Wardaron.
Ho appuntato per sommi capi la trama dell’intera storia e suddiviso la stessa all’interno dei cinque volumi che la compongono. Ho le schede dei personaggi, il loro background, conosco le loro storie. Poi, ogni singolo romanzo ha un suo progetto, determinato capitolo per capitolo, che stilo prima di iniziare a mettermi all’opera. So sempre da dove parto, dove voglio arrivare e come voglio arrivarci. Certo, non vi nascondo che molto spesso i personaggi prendono il sopravvento e allora devo assecondarli, non posso certo tarpare loro le ali!

Il fantasy, lo si evince appunto fin dal nome, è un genere che più di altri si basa sull’invenzione fantastica. Tuttavia, e inevitabilmente, anche la fantasia, per generarsi, trova riferimenti nella realtà ordinaria e quotidiana di chi la utilizza. Quali sono, dunque, i principali spunti che tu trovi nella tua realtà di tutti i giorni, che più spesso usi per creare gli elementi delle tue scritture fantasy? E perché propri quegli spunti?
Gli spunti possono arrivare da ogni parte. La fantasia si annida ovunque. Basta spingere al massimo la propria sospensione dell’incredulità, guardare al mondo con gli occhi trasognati di un bambino che lo esplora e immagina ogni altro mondo possibile. Ciascuna persona che incrocio per la strada o lungo la corsia di un grande centro commerciale o in un parco o in su una spiaggia, può rappresentare uno spunto per una storia, per un personaggio; più arricchisci il personaggio di particolari all’apparenza insignificanti (vizi, tic, un modo particolare di portare la camicia e così via) più questo prenderà forma e smetterà di essere una persona di cartone, per diventare qualcosa di più: un compagno d’avventura.
Poi ci sono i grandi spazi naturali che offre la mia terra, le sue tradizioni, le vicende del suo passato. La Sicilia è un luogo fortemente fantasy, basta pensare alla sua storia: gli imperi, i regni, le corti, i cavalieri, i paladini, le rivolte, culture diverse che si mescolano e si contaminano.
È tutta una questione di sguardi sul mondo.

Come inventi e stabilisci i nomi di personaggi e luoghi delle tue storie? Pura gradevole o suggestiva fonetica, oppure è come se in qualche modo essi creassero una piccola ma significativa lingua all’interno del testo, avente lo scopo insieme alla narrazione stessa di generare una buona e funzionale scenografia linguistica alla storia?
All’inizio procedevo un po’ a braccio, non c’era una vera e propria logica nella scelta dei nomi, andavo solo alla ricerca di un suono che in qualche modo potesse rispecchiare l’indole del personaggio, un po’ come si fa con i bambini. Vi faccio qualche esempio: il nome di Eufeld è nato nel corso della storia quando già avevo scritto più della metà del romanzo, prima il protagonista aveva un altro nome (non lo svelerò neanche sotto tortura!), un nome che addosso a quella persona non mi convinceva, stonava un po’, così alla fine ho deciso di cambiarlo, non è stato difficile trovare il nome giusto; Adrijahn (Adrij), invece, è stato un nome che è nato insieme al personaggio e credo che non si sarebbe potuto chiamare in nessun altro modo, è un nome che mi piace molto e a lui sono molto affezionato, spero che imparerete a conoscerlo e ad apprezzarlo.
Tuttavia, quando la struttura della saga ha iniziato a prendere forma e a definirsi con maggiore prepotenza, è stato naturale per me iniziare a creare qualcosa che, in un certo senso, potesse ricordare delle lingue, diverse culture, qualcosa che potesse arricchire la narrazione. La cosa sarà molto evidente nel terzo libro, ma niente spoiler! Intendiamoci, non è nulla ulla che possa in alcun modo essere accostato o paragonato all’immensa opera compiuta da Tolkien, è soltanto il tentativo di fornire un pizzico di vita vissuta a un universo articolato come Wardaron.

Non temi che un genere come il fantasy, basato su stilemi narrativi classici e “standard”, possa rischiare di avvilupparsi su sé stesso, ovvero che un autore fantasy rischi di scrivere cose già scritte da altri e che, proprio per la sua natura, gli spazi di innovazione del genere siano sempre più limitati e difficilmente esplorabili?
Quasi tutti archetipi del fantasy affondano le loro radici nella mitologia arcaica, classica e norrena. Un bacino di storie che a ben guardare rappresentano le basi da cui partono la maggior parte dei romanzi e delle saghe. Credo che il rischio di scrivere cose già scritte da altri sia altissimo in qualunque genere letterario, così come nella musica, gli “standard” sono qualcosa con cui dobbiamo fare i conti. Permettetemi, però, una riflessione: le note musicali sono sette, eppure questo non ha impedito a Bach, Beethoven, Mozart, Chopin e Wagner di distinguersi l’uno dall’altro; Terry Brooks è stato accusato – a torto, a mio modesto avviso – di avere saccheggiato  Il signore degli anelli, eppure io riesco a comprendere le profonde differenze che passano tra l’opera di Tolkien e La spada di Shannara, ad esempio.
Ritengo che sia una questione di punti di vista. Le storie potranno anche ripetersi, questo credo che sia inevitabile (basta guardare alla Morfologia della fiaba di Vladimir Propp), quello che ci può essere di veramente unico sono i personaggi, il punto di vista del narratore e il modo in cui questo interviene nella storia, i luoghi, le culture, le tradizioni. Nella fantasy stanno fiorendo molte contaminazioni, soprattutto con fantascienza e horror, ma non solo. Credo che questo tipo di evoluzione possa fare bene al genere, sempre che non nasconda una scarsa voglia da parte degli autori di impegnarsi in qualcosa di veramente originale sfruttando la cassetta degli attrezzi offerta dal genere. Bisognerebbe valutare caso per caso.
Credo che il genere fantasy abbia ancora tanto da dire.

Cosa significa, oggi, essere un giovane scrittore? Quante difficoltà occorre superare per affermarsi nel panorama letterario italiano?
Essere un giovane scrittore, oggi, significa acquisire la consapevolezza che scrivere è qualcosa che deve essere fatto in primo luogo per se stessi, per il puro piacere di farlo, senza cercare di inseguire il “mercato” o tentare di intercettare a tutti i costi la moda del momento. Il mercato è saturo, questo è chiaro, anche se sembra che negli ultimi anni qualcosa stia iniziando a muoversi, dopo decenni di buoi, oggi si comincia a leggere e a leggere tanto. Adesso la sfida è fare anche leggere bene. Io scrivo per passione e ho deciso di esordire con una piccola casa editrice, con tutto quello che questo comporta in termini di “visibilità”.
Per fortuna, c’è la Rete, ci sono i Social network sites, i blog letterari (io ne so qualcosa…), le possibilità per farsi largo nel multiforme panorama editoriale italiano sono tante, basta soltanto impegnarsi un po’ e credere fermamente nella propria opera.
La strada per riuscire a diffondere la storia che si vuole raccontare è tortuosa e le difficoltà sono molte, a cominciare dallo scoglio rappresentato degli editori canaglia, quelli che chiedono migliaia e migliaia di euro per pubblicare un romanzo, facendo leva sulla vanità innata di chi scrive, senza poi garantire nulla. Poi bisogna pure guardarsi da certi agenti letterari che puntano ad alleggerire il portafogli dei propri clienti e basta.
E poi ci sono i grandi gruppi editoriali che dominano il mercato.

Cosa pensi dell’editoria italiana?
Penso che ci siano dei grossi problemi legati soprattutto alla distribuzione, problemi che nascono in primo luogo dalla conformazione geografica del nostro Paese e da un sistema dei trasporti davvero antidiluviano. I piccoli editori fanno fatica a sopravvivere e spesso falliscono, a volte si fanno addirittura la guerra tra loro e questo è molto triste. Penso che dovrebbero collaborare di più, cercare di far proprio il principio per cui l’unione fa la forza. I grandi gruppi editoriali la fanno da padrone, ma questo sta nelle regole del gioco, l’editoria è un business, pertanto non potrebbe essere altrimenti: pesce grande mangia pesce piccolo, come si dice. Credo che le nuove tecnologia (tablet, ebook reader ecc.) avrebbero potuto smuovere qualcosa, però sono stati un po’ azzoppate sul nascere.
Ci sono degli editori rampanti da tenere d’occhio. Stanno innovando molto (o almeno ci provano), imprimendo cambiamenti significativi al mercato. Chi riuscirà a stare al passo coi tempi, sopravvivrà con molte meno difficoltà di altri. Si chiama selezione naturale.

Progetti futuri?
Intanto desiderò portare a termine la scrittura di Wardaron, in modo da non fare aspettare troppo i lettori curiosi di sapere come andrà a finire. Poi, i miei taccuini sono ricchi di idee da sviluppare, adesso che ho iniziato non penso che mi fermerò tanto facilmente!
Qualche giorno fa ho pubblicato un piccolo ebook gratuito che contiene un racconto dal titolo “L’alba del crepuscolo”, un piccolo dono per tutti i miei lettori e per coloro che vorranno curiosare scoprendo le mie storie.
Vedo intorno a me che si sta muovendo qualcosa di bello e inaspettato. Sono molto felice di questo e allo stesso tempo sento la responsabilità di non deludere chi sta credendo in me e nella saga di Wardaron.
Lo sto ripetendo spesso in queste interviste: scrivere è schiudere un mondo infinito di fantasia davanti a occhi desiderosi di sognare. Spero che le mie storie vi portino lontano e che i vostri occhi siano sempre carichi di sogni.

Salutaci con una citazione tratta dal tuo romanzo.
Stavano a passeggiare irrequieti nel giardino del palazzo di Tarsyth, Hokij salì
su una torre di vedetta e si mise a indagare verso nordovest, verso le sponde
del canale che separava Blaphon dalla terra ferma. Grigie nubi si addensavano
all’orizzonte, nubi presagio di una tempesta imminente. Era come se sull’isola di
Blaphon fosse calata la notte e il cielo si fosse gonfiato di malvagità.

«Anthanis!» urlò Hokij «Quello che vedo non mi piace».

Anthanis salì di corsa le scale che portavano in cima alla torre di guardia e
rimase immobile a fissare l’orizzonte, come impietrito. «Dannazione, si
stanno muovendo» disse dopo qualche secondo, giusto il tempo di
riprendersi «Turin, avverti il re, presto. Le nuvole si addensano a nord, al di là
del mare, Kukromel sta facendo muovere le sue pedine», all’orizzonte si
intravedeva il profilo dell’isola avvolta dalle nuvole e dai fulmini.

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