CHARLAINE HARRIS
Libri
Primo capitolo di "Morto e Spacciato" di Charlaine Harris
— Le vampire caucasiche non dovrebbero mai vestire di bianco — recitò l’annunciatore televisivo. — Abbiamo ripreso di nascosto Devon Dawn, che è una vampira da appena un decennio, mentre si preparava per trascorrere la notte in città. Guardate che abbigliamento! È del tutto sbagliato per lei!
— Ma a cosa stava pensando? — commentò un’acida voce femminile. — Quando si dice che qualcuno è rimasto agli Anni Novanta! Guardate quella camicetta, se così la si può chiamare. La tonalità della sua pelle richiede a gran voce un colore che faccia contrasto, e lei cosa indossa? Una camicetta avorio! La fa sembrare della stessa tinta di un sacchetto per la spesa di Hefty!
— Ma a cosa stava pensando? — commentò un’acida voce femminile. — Quando si dice che qualcuno è rimasto agli Anni Novanta! Guardate quella camicetta, se così la si può chiamare. La tonalità della sua pelle richiede a gran voce un colore che faccia contrasto, e lei cosa indossa? Una camicetta avorio! La fa sembrare della stessa tinta di un sacchetto per la spesa di Hefty!
Mi soffermai nell’atto di allacciarmi una scarpa per vedere cosa sarebbe successo quando i due esperti di moda avessero fatto irruzione, sorprendendo la vittima impotente… oh, chiedo scusa, la fortunata vampira… che lei lo volesse o meno, avrebbero trasformato il suo abbigliamento, e tutto grazie ai suoi amici che l’avevano consegnata alla polizia della moda.
— Non credo finirà bene — osservò Octavia Fant. Anche se la mia coinquilina, Amelia Broadway, aveva infilato Octavia a casa mia con una sorta di espediente, quella sistemazione stava funzionando nel migliore dei modi.
— Devon Dawn, lei è Bev Leveto, di Il Vampiro più Elegante, e io sono Todd Seabrook. La tua amica Tessa ci ha chiamati per dirci che avevi bisogno di aiuto nel campo della moda! Nel corso delle ultime due notti ti abbiamo ripresa di nascosto, e… AAACKK! — Una mano bianca saettò verso la gola di Todd, che scomparve per essere sostituita da un ampio buco rossastro. La telecamera indugiò sull’immagine, come affascinata, mentre Todd si accasciava sul pavimento, poi si sollevò per inquadrare la lotta in corso tra Devon Dawn e Bev.
— Accidenti — commentò Amelia. — Pare che sarà Bev a vincere.
— Ha più senso strategico — ribattei. — Hai notato che ha lasciato che fosse Todd a entrare per primo?
— L’ho bloccata — annunciò Bev sullo schermo, in tono di trionfo. — Devon Dawn, mentre Todd recupera l’uso della parola, noi due esamineremo il tuo guardaroba. Una ragazza che vivrà in eterno non si può permettere di non avere gusto nel vestire. I vampiri non possono rimanere legati al passato. Noi dobbiamo essere innovativi, nel campo della moda!
— A me piacciono i miei vestiti! — gemette Devon Dawn. — Sono parte di ciò che sono! Mi hai rotto un braccio.
— Guarirà. Ascolta, non vuoi essere conosciuta come la piccola vampira che non è riuscita a farcela, vero? Non vuoi rimanere incastrata nel passato.
— Ecco, suppongo di no…
— Bene! Ora ti permetterò di alzarti, e a giudicare dai colpi di tosse, direi che Todd si sente meglio.
Spensi la televisione e mi allacciai l’altra scarpa, scuotendo il capo di fronte alla recente passione che l’America aveva sviluppato per i “reality” show che avevano i vampiri come protagonisti.
Nel tirare fuori dall’armadio il cappotto rosso, ricordai che io stessa avevo una serie di problemi assolutamente reali con un vampiro; nei due mesi e mezzo trascorsi da quando il regno vampirico della Louisiana era stato conquistato dai vampiri del Nevada, Eric Northman aveva dovuto consolidare la propria posizione all’interno del nuovo regime e valutare cosa rimanesse di quello vecchio.
Fra noi due era da tempo in sospeso una chiacchierata sui ricordi che Eric aveva da poco recuperato riguardo al periodo strano e intenso che avevamo vissuto insieme, quando lui aveva temporaneamente perso la memoria a causa di un incantesimo.
— Cosa farete stanotte, mentre io sono al lavoro? — domandai ad Amelia e a Octavia, per non abbandonarmi di nuovo a conversazioni immaginarie; intanto mi infilai il cappotto, perché anche se la Louisiana del Nord non raggiungeva le spaventose temperature del vero nord, quella notte ci aggiravamo intorno ai cinque gradi, e ce ne sarebbero stati ancora meno quando avessi finito di lavorare.
— Mia nipote e i suoi bambini mi porteranno fuori a cena — rispose Octavia.
Amelia e io ci scambiammo un’occhiata sorpresa sopra la testa dell’anziana strega, china sulla camicetta che stava rammendando. Quella era la prima volta che Octavia rivedeva la nipote, da quando aveva lasciato la sua casa per trasferirsi da me.
— Credo che Tray e io verremo al bar, stasera — si affrettò ad affermare Amelia, per riempire quella piccola pausa di silenzio.
— Allora ci vediamo da Merlotte’s — replicai. Da anni, facevo la cameriera in quel locale.
— Oh, ho il filo del colore sbagliato — commentò intanto Octavia, e si avviò lungo il corridoio, in direzione della sua stanza.
— Devo supporre che tu non stia più frequentando Pam? — domandai ad Amelia. — Tu e Tray cominciate a fare coppia fissa.
Nel parlare, infilai meglio la T-shirt bianca nei pantaloni neri, poi mi guardai nel vecchio specchio appeso sopra la mensola del camino. I capelli erano raccolti come sempre nella coda di cavallo che usavo quando lavoravo; notando un lungo capello biondo che spiccava sulla stoffa rossa del cappotto, lo rimossi con cura.
— Quella con Pam era solo un’avventura, e sono certa che lei la pensasse allo stesso modo nei miei confronti. Tray invece mi piace davvero — rispose Amelia. — Non sembra importargli del denaro di mio padre, e non lo preoccupa il fatto che io sia una strega. E a letto riesce a sconvolgere il mio universo. In una parola, andiamo d’accordo alla grande — concluse, elargendomi un sorriso degno di un gatto che avesse appena divorato un canarino. Amelia poteva anche avere l’aspetto di una casalinga borghese molto in forma, con i capelli corti e lucidi, il sorriso candido e gli occhi limpidi, ma era molto interessata al sesso e (per i miei standard) il suo era un interesse diversificato.
— È un brav’uomo — affermai. — L’hai già visto nella sua forma di lupo?
— No, ma non aspetto altro.
La mente così aperta di Amelia mi permise di cogliere qualcosa che mi sorprese.
Naturalmente, era accompagnato da un amico: i membri della CdS parevano circolare sempre in branco… proprio come l’altro gruppo di minoranza di cui stavano per fare la conoscenza.
Mio fratello Jason era seduto a un altro tavolo, insieme a Mel Hart, che lavorava presso la Bon Temps Auto Parts ed era intorno ai trentuno anni, più o meno la stessa età di Jason. Snello e muscoloso, Mel aveva capelli castani piuttosto lunghi, baffi e barba, e un volto gradevole, e negli ultimi tempi lo avevo visto spesso con Jason. Probabilmente mio fratello cercava di riempire con lui il vuoto lasciato da Hoyt, perché non era contento se non aveva un fedele seguace. Quella notte entrambi erano in compagnia femminile. Mel era divorziato, ma Jason era ancora sposato, almeno dal punto di vista legale, quindi non avrebbe dovuto mostrarsi in pubblico con un’altra donna… anche se nessuno lo avrebbe mai biasimato per questo, considerato che sua moglie Crystal era stata sorpresa nell’atto di tradirlo con un altro uomo.
Avevo sentito dire che Crystal, incinta, si era trasferita nella piccola comunità di Hotshot, dove alloggiava presso alcuni parenti (visto com’era Hotshot, avrebbe trovato parenti in qualsiasi casa del piccolo centro). Anche Mel Hart era nato a Hotshot, ma era uno dei rari membri di quella tribù che avevano scelto di andare a vivere altrove.
Con sorpresa, vidi che Bill, il mio ex-ragazzo, era seduto a un tavolo insieme a un altro vampiro, Clancy, che non rientrava fra le mie persone preferite, indipendentemente dal suo stato di non-morto; entrambi avevano davanti, sul tavolo, una bottiglia di TrueBlood. Non mi pareva che prima di allora Clancy fosse mai passato da Merlotte’s per bere qualcosa, e di certo non lo aveva mai fatto insieme a Bill.
— Ehi, ragazzi, vi serve un altro giro? — domandai, sfoggiando un ampio sorriso, perché sono sempre un po’ nervosa, quando ho a che fare con Bill.
— Per favore — rispose lui, cortese, mentre Clancy spingeva verso di me la bottiglia vuota.
Passai dietro il bancone per prelevare altre due bottiglie di TrueBlood dal frigorifero, le aprii e le misi nel microonde (quindici secondi era il tempo di riscaldamento ottimale), poi le agitai appena e le sistemai sul vassoio insieme ad alcuni tovagliolini puliti. La mano fredda di Bill sfiorò la mia quando gli posai davanti la bottiglia.
— Se hai bisogno di aiuto a casa, chiamami, per favore — disse.
Sapevo che la sua era un’offerta gentile, ma il suo effetto era quello di sottolineare in qualche modo il fatto che al momento era single. La casa di Bill si trovava dall’altra parte del cimitero rispetto alla mia, e considerata la sua abitudine di andarsene a zonzo di notte, ero certa sapesse molto bene che non stavo intrattenendo compagnie maschili.
— Grazie, Bill — risposi, costringendomi a sorridergli. Clancy si limitò a sogghignare.
Intanto entrarono Amelia e Tray che, dopo aver sistemato Amelia a un tavolo, si diresse al banco, salutando lungo il tragitto tutti i presenti. Sam uscì dal suo ufficio per raggiungere il massiccio mannaro, che era di almeno una dozzina di centimetri più alto di lui e aveva un torace ampio quasi il doppio. Nel vedere i due scambiarsi un sorriso d’intesa, Bill e Clancy si misero all’istante sul chi vive.
In quel momento i televisori montati tutt’intorno alla stanza interruppero la telecronaca sportiva che era in corso, e una serie di segnali acustici avvertirono i clienti del locale del fatto che sullo schermo stava per succedere qualcosa di rilevante. A poco a poco, nel bar scese il silenzio, salvo per poche conversazioni sporadiche, poi sugli schermi apparve la scritta “Servizio Speciale”, sovrimposta all’immagine di uno speaker che aveva corti capelli coperti di gel e un’espressione assolutamente severa.
— Sono Matthew Harrod — annunciò, con voce solenne. — Stanotte abbiamo per voi un servizio speciale. Come in tutte le stazioni televisive del paese, qui a Shreveport abbiamo in studio un visitatore particolare.
La telecamera si spostò in modo da allargare l’inquadratura fino a comprendere una donna graziosa il cui volto mi era leggermente familiare. La donna, che salutò con un gesto spigliato, indossava una sorta di caffetano, il che costituiva una strana scelta di vestiario per un’apparizione televisiva.
— Vi presento Patricia Crimmins, che si è trasferita qui a Shreveport poche settimane fa. Patty… posso chiamarla Patty?
— Il mio nome è Patricia — ribadì la brunetta, che ricordai essere uno dei membri del branco che era stato assorbito da quello di Alcide. Patricia era graziosa come un quadro, e la parte di lei che non era avviluppata dal caffetano appariva ben formata e tonificata. — Stanotte — continuò, rivolgendo un sorriso a Matthew Harrod, — sono qui come rappresentante di un popolo che ha vissuto in mezzo a voi per molti anni. Dal momento che i vampiri hanno avuto tanto successo nel venire allo scoperto, abbiamo deciso che è giunto anche il nostro momento di parlarvi di noi. Dopo tutto, i vampiri sono morti, non sono neppure umani, mentre noi siamo persone qualsiasi, proprio come tutti voi… con una differenza.
Sam alzò il volume dei televisori, e la gente nel bar cominciò a girarsi sulla sedia per vedere cosa stesse succedendo.
Il sorriso del giornalista si era fatto teso al massimo, visibilmente nervoso.
— Davvero interessante, Patricia! Cosa sei?
— Grazie per avermelo chiesto, Matthew. Io sono un lupo mannaro. — Con le mani incrociate intorno al ginocchio e le gambe accavallate, Patricia appariva abbastanza sicura di sé da poter vendere con successo auto usate. Alcide aveva effettuato una buona scelta. Inoltre, se qualcuno avesse ucciso Patricia durante la trasmissione… ecco, lei era un elemento nuovo del branco.
Adesso Merlotte’s si era fatto silenzioso, mentre la notizia si diffondeva di tavolo in tavolo. Bill e Clancy si erano alzati, andando a prendere posizione accanto al bancone, e questo mi fece comprendere che erano presenti per mantenere l’ordine, se la cosa si fosse resa necessaria… doveva essere stato Sam a chiedere loro di venire. Tray si stava sbottonando la camicia; Sam aveva indosso una T-shirt a manica lunga, che si sfilò dalla testa.
— Vuoi dire che ti trasformi in lupo con la luna piena? — domandò Matthew Harrow, con voce tremula; si sforzava di mantenere il sorriso e di limitarsi ad apparire semplicemente interessato, ma non ci riusciva molto bene.
— E anche in altri momenti — spiegò Patricia. — Quando c’è la luna piena, la maggior parte di noi si deve trasformare, ma se siamo animali mannari purosangue possiamo farlo anche in altre situazioni. Ci sono molte specie di animali mannari, però io mi trasformo in lupo. Noi lupi siamo i più numerosi fra gli esseri dalla duplice natura. Adesso vi mostrerò quanto sia stupefacente il processo della trasformazione. Non abbiate timore, non mi succederà nulla.
Nel parlare, si tolse le scarpe, ma non il caffetano, e io improvvisamente compresi perché avesse scelto di indossarlo, in modo da non essere costretta a spogliarsi davanti alla macchina da presa. Inginocchiatasi sul pavimento, Patricia rivolse alla telecamera un ultimo sorriso, poi iniziò a contorcersi, l’aria intorno a lei tremolò a causa della magia che la pervadeva, e da Merlotte’s tutti emisero all’unisono un “Ooooooo” di meraviglia.
Nel momento successivo a quello in cui Patricia si abbandonò alla trasformazione sullo schermo televisivo, Sam e Tray fecero altrettanto, là dove si trovavano, senza curarsi di lacerare la biancheria intima, avendone indossata di sacrificabile. Nel locale, nessuno sapeva se guardare la donna avvenente che si trasformava sullo schermo in una creatura dalle lunghe zanne bianche, o quelle due persone ben note fare altrettanto.
In tutto il bar echeggiarono ogni sorta di esclamazioni, per lo più non ripetibili in pubblico. La ragazza che accompagnava Jason, Michele Schubert, si alzò addirittura in piedi per vedere meglio.
Io mi sentivo davvero orgogliosa di Sam. Quello che stava facendo richiedeva un coraggio notevole, perché la sua attività dipendeva in buona misura dal fatto che i clienti lo trovassero simpatico.
Nell’arco di un minuto, fu tutto finito e Sam, che era un mutaforme purosangue, assunse la forma che gli era più familiare, quella di un collie. Venendo a sedersi davanti a me, emise un allegro latrato, e quando mi chinai ad accarezzargli la testa, lasciò penzolare fuori la lingua in un sorriso. La manifestazione animale di Tray risultò molto più drammatica, perché nella rurale Louisiana settentrionale non accadeva spesso di vedere grossi lupi, che a dire la verità, erano alquanto spaventosi. I presenti cominciarono ad agitarsi, a disagio, e forse si sarebbero alzati per fuggire dal locale se Amelia non si fosse accoccolata vicino a Tray, circondandogli il collo con le braccia.
— Capisce quello che state dicendo — affermò in tono incoraggiante, rivolta alle persone che occupavano il tavolo più vicino. — Ehi, Tray, porta loro questo vassoio — aggiunse, con un ampio sorriso sincero, porgendo uno dei vassoi del bar. E Tray Dawson, implacabile combattente sia nella sua forma di lupo che in quella umana, avanzò trotterellando per deporre il vassoio sulle ginocchia di una cliente. La donna batté le palpebre, esitò, e infine scoppiò a ridere.
Sam mi leccò la mano.
— Oh, Signore Gesù! — esclamò a gran voce Arlene. Accanto a lei, Whit Spradlin e il suo amico erano scattati in piedi; anche se qualcuno degli altri clienti appariva un po’ teso, nessuno di loro aveva avuto una reazione così violenta.
Bill e Clancy rimasero a guardare.
Era chiaro che erano pronti ad affrontare qualsiasi problema, comunque pareva che la Grande Rivelazione stesse procedendo bene. La notte della Grande Rivelazione dei vampiri non si era svolta in maniera altrettanto tranquilla, in quanto essa aveva costituito il primo di una serie di shock che la società umana in generale avrebbe subito negli anni a venire. A poco a poco, i vampiri erano giunti a essere riconosciuti come parte della popolazione americana, anche se la loro cittadinanza risentiva tuttora di alcune limitazioni.
Sam e Tray presero a gironzolare fra i clienti abituali, lasciandosi accarezzare come se fossero stati normali animali domestici; nel frattempo, alla televisione, il giornalista stava tremando visibilmente nel trovarsi davanti lo splendido lupo bianco in cui Patricia si era trasformata.
— Guardate, ha tanta paura che sta tremando! — commentò D’Eriq, sguattero e aiutante in cucina, e scoppiò a ridere, mentre i clienti di Merlotte’s si rilassavano abbastanza da sentirsi superiori. Dopo tutto, avevano affrontato la cosa con disinvoltura.
— Nessuno dovrebbe aver paura di una donna tanto bella, anche se ha messo su un po’ di pelo — commentò Mel, il nuovo amico di Jason, e le risate dilagarono nel locale, rilassando ulteriormente l’atmosfera. Mi sentii sollevata, pur ritenendo un po’ ironico il fatto che quelle persone non sarebbero forse state altrettanto pronte a ridere se Jason e Mel si fossero trasformati a loro volta. Entrambi erano pantere mannare, anche se Jason non poteva mutare in modo completo.
Dopo quelle risate, però, mi sentivo sicura che tutto sarebbe andato bene. Bill e Clancy si guardarono intorno con attenzione, poi tornarono al loro tavolo.
Circondati da cittadini che stavano prendendo con tanta calma quella rivelazione, Whit e Arlene apparivano stupefatti, e io potevo percepire la confusione della mia amica d’un tempo. Sam era il nostro capo da parecchi anni, e a meno di essere disposta a perdere il lavoro, lei non poteva certo protestare. D’altro canto, vedevo anche la sua paura, e l’ira crescente che la seguiva dappresso. Quanto a Whit, lui aveva un solo, costante modo di reagire di fronte a quello che non comprendeva: lo odiava, e l’odio è contagioso. Si girò a guardare verso il suo amico, scambiando con lui una cupa occhiata, mentre i pensieri continuavano a vorticare nella mente di Arlene come le palline dell’estrazione del lotto nell’urna che girava. Difficile dire quale sarebbe affiorato per primo.
— Gesù, annientalo! — esclamò Arlene, esplodendo infine. Il bussolotto dell’odio aveva avuto la meglio.
— Oh, Arlene!... — esclamarono alcuni, in tono di protesta, ma tutti stavano ascoltando.
— Questo va contro Dio e la natura! — continuò lei, a voce alta, con rabbia, i capelli tinti di rosso che tremavano per la sua veemenza. — Voi tutti volete che i vostri bambini si trovino a contatto con cose come queste?
— I nostri bambini sono sempre stati a contatto con cose come queste — ribatté Holly, a voce altrettanto alta. — La sola differenza è che non lo sapevamo, e comunque loro non ne hanno riportato nessun danno. — Anche lei si alzò in piedi.
— Dio ci punirà se non li distruggiamo — dichiarò Arlene, indicando Tray con un gesto drammatico, il volto ormai rosso quanto i capelli, mentre Whit la guardava con approvazione. — Voi non capite! Andremo tutti all’inferno, se non ci riprenderemo il mondo, togliendolo a loro! Guardate chi hanno schierato, per tenere in riga noi umani! — Il suo dito si spostò per indicare Bill e Clancy, ma dal momento che da tempo entrambi erano tornati a sedersi, il suo gesto perse gran parte della propria efficacia.
Posato il vassoio sul bancone, avanzai di un passo, le mani serrate a pugno.
— Noi andiamo tutti d’accordo, qui a Bon Temps — affermai, mantenendo un tono calmo e uniforme. — Tu sembri la sola a essere sconvolta, Arlene.
Lei si guardò intorno nel locale con occhi roventi, cercando di intercettare lo sguardo di svariati clienti. Li conosceva bene tutti, ed era sinceramente sconvolta dalla constatazione che gli altri non condividessero la sua reazione. Sam le si andò a sedere davanti e sollevò su di lei lo sguardo dei suoi splendidi occhi da cane.
Intanto, io mi avvicinai di un passo a Whit, giusto per precauzione. Lui stava cercando di decidere cosa fare, e stava valutando la possibilità di attaccare Sam… ma chi gli avrebbe dato manforte per picchiare un collie? Perfino lui era in grado di cogliere l’assurdità della cosa, e questo lo portava a odiare Sam ancora di più.
— Come hai potuto! — stridette Arlene, rivolta a Sam. — Mi hai mentito per tutti questi anni! Credevo che fossi un umano, non una dannata creatura sovrannaturale!
— Lui è umano — ribattei. — Ha soltanto anche un’altra faccia, tutto qui.
— E tu — proseguì Arlene, sputando le parole, — tu sei la più strana, la più inumana di tutti.
— Ehi, un momento — intervenne Jason, scattando in piedi; dopo un istante di esitazione, Mel lo imitò, sotto lo sguardo allarmato della sua accompagnatrice. La ragazza di Jason, invece, si limitò a sorridere. — Lascia in pace mia sorella. Ha fatto da babysitter ai tuoi bambini, ha pulito la tua casa mobile e ha sopportato le tue stronzate per anni. Che razza di amica sei?
Nel parlare, Jason non guardò verso di me. Io ero paralizzata dallo stupore, perché quello era un gesto assai poco consono al suo carattere. Possibile che fosse finalmente maturato un poco?
— È davvero prossima? La rivelazione, intendo.
— Ti dispiacerebbe non farlo? — Di norma, Amelia accettava di buon grado le mie capacità telepatiche, ma non quel giorno. — Custodisco segreti di altre persone, sai!
— Mi dispiace — risposi, il che era vero. Allo stesso tempo, però, ero leggermente seccata, perché sarebbe stato logico pensare che a casa mia potessi rilassarmi e allentare i rigidi vincoli che imponevo alla mia capacità. Dopo tutto, ogni singolo giorno di lavoro era una vera lotta, sotto quell’aspetto.
— Dispiace anche a me — si scusò immediatamente Amelia. — Ora devo andare a prepararmi. Ci vediamo più tardi. — E salì con passo leggero le scale che portavano al secondo piano, rimasto per lo più inutilizzato fino a quando lei non era tornata con me da New Orleans, alcuni mesi prima. In tal modo Amelia era sfuggita a Katrina, contrariamente a quanto era accaduto alla povera Octavia.
— Arrivederci, Octavia! Divertiti! — gridai, nell’uscire dalla porta sul retro per andare alla macchina.
Mentre percorrevo il lungo vialetto che attraversava i boschi, fino alla Hummingbird Road, mi chiesi quante probabilità avessero Amelia e Tray Dawson di rimanere insieme. Tray era un lupo mannaro e lavorava come riparatore di motociclette e guardia del corpo; Amelia era una strega che stava sviluppando i suoi poteri e aveva un padre immensamente ricco, anche dopo Katrina, in quanto l’uragano aveva risparmiato la maggior parte dei materiali che lui aveva nei magazzini e gli aveva fornito abbastanza lavoro da durargli per alcuni decenni.
Secondo il cervello di Amelia, quella era “la notte”… non la notte in cui Tray le avrebbe chiesto di sposarla, ma quella in cui avrebbe rivelato la sua duplice natura. Per la mia coinquilina, essa costituiva un beneficio aggiuntivo, perché tutto ciò che era esotico la affascinava.
Entrai dall’ingresso riservato ai dipendenti e andai dritta nell’ufficio di Sam.
— Salve, capo — salutai, nel vederlo dietro la scrivania. Sam detestava lavorare sui libri contabili. Considerata la sua aria preoccupata e i capelli ancora più arruffati del solito, ridotti a un’ondulata massa rossiccia intorno al volto sottile, stava cercando di distrarsi.
— Tieniti pronta. Stanotte è “la notte” — annunciò.
Mi sentivo così orgogliosa che me lo avesse detto, e che le sue parole avessero rispecchiato tanto da vicino i miei pensieri, che non potei trattenermi dal sorridere.
— Sono pronta. Sarò qui. — Riposta la borsetta nel profondo cassetto della scrivania, andai a mettermi il grembiule e a dare il cambio a Holly. Dopo che lei mi ebbe ragguagliata riguardo ai clienti seduti ai nostri tavoli, le dissi: — Stanotte dovresti rimanere.
Lei mi scoccò un’occhiata penetrante. Di recente, aveva cominciato a farsi crescere i capelli, con il risultato che le estremità ancora tinte di nero sembravano essere state immerse nella pece; il suo colore naturale, adesso visibile per un paio di centimetri, vicino alle radici, era un gradevole castano chiaro… Holly si era tinta i capelli per così tanto tempo che avevo dimenticato quale fosse la loro tonalità originale.
— È qualcosa per cui vale la pena che faccia aspettare Hoyt? — mi chiese lei. — Lui e Cody vanno d’accordo a meraviglia, ma io sono la madre di Cody. — Hoyt, il migliore amico di mio fratello Jason, era stato accalappiato da Holly, e adesso era diventato un suo seguace.
— Dovresti rimanere per un po’ — replicai, inarcando le sopracciglia in modo significativo.
— I mannari? — chiese Holly, e quando annuii il volto le si rischiarò in un sorriso. — Accidenti! Ad Arlene verrà una sincope!
Arlene, una nostra collega e un tempo mia amica, si era lasciata sensibilizzare politicamente alcuni mesi prima da uno dei suoi innumerevoli “amici”, e adesso la sua posizione era appena più intransigente e di destra di quella di Attila l’Unno, soprattutto per quanto concerneva i vampiri. Arlene era anche diventata membro della Confraternita del Sole, un’organizzazione che era una chiesa soltanto di nome. In quel momento era in piedi accanto a uno dei tavoli del suo settore, impegnata in una seria conversazione con il suo uomo, Whit Spradlin, un funzionario di qualche tipo della CdS che di giorno lavorava presso uno degli Shreveport Home Depots. Whit aveva una calvizie incipiente e un po’ di pancia, ma questo non mi importava, a differenza della sua posizione politica.
— Il genere che non vuole avere intorno creature innaturali, come tua sorella — ritorse Arlene, poi si strappò il grembiule di dosso e, rivolta al collie, annunciò: — Mi licenzio da questo locale! — E si allontanò a passo di carica verso l’ufficio di Sam per recuperare la borsetta.
Circa un quarto delle persone presenti nel locale apparivano allarmate e turbate, e una metà era affascinata dal dramma in corso, il che lasciava nell’incertezza la reazione di un quarto dei presenti. Sam prese a uggiolare, come un cane triste, e abbassò il muso fra le zampe, cosa che provocò una risata generale e permise di superare il momento di disagio. Intanto, vidi Whit e il suo compare sgusciare via dalla porta principale, e una volta che furono usciti mi rilassai.
Nella remota eventualità che Whit potesse essere andato a prendere un fucile sul suo furgone, guardai in direzione di Bill, che si affrettò a seguirlo fuori con mosse fluide; un momento più tardi fu di ritorno e mi rivolse un cenno per segnalare che i due tizi della CdS se n’erano andati.
Non appena anche la porta posteriore si fu richiusa con un tonfo alle spalle di Arlene, il resto della serata prese a scorrere decisamente bene. Sam e Tray si ritirarono nell’ufficio di Sam per trasformarsi di nuovo e vestirsi, poi Sam riprese il proprio posto dietro il bancone come se non fosse successo nulla, e Tray si andò a sedere al tavolo con Amelia, che lo baciò. Per qualche tempo, la gente restò alla larga da tutti e due, tenendoli d’occhio senza parere, ma nell’arco di un’ora l’atmosfera da Merlotte’s parve tornare alla normalità.
Io mi incaricai di servire anche i tavoli che sarebbero toccati ad Arlene e badai di essere particolarmente gentile con chi appariva ancora incerto su come valutare gli eventi di quella notte.
Le persone bevvero in abbondanza, quella notte. Forse avevano qualche dubbio in merito alla seconda natura di Sam, ma non avevano alcun problema a incrementare i suoi profitti. Dopo un po’, Bill intercettò il mio sguardo e sollevò la mano in un gesto di saluto, poi lui e Clancy lasciarono il bar.
Un paio di volte, Jason cercò di attirare la mia attenzione, e il suo amico Mel mi rivolse ampi sorrisi. Mel era più alto e magro di mio fratello, ma entrambi avevano l’aspetto vivace e sereno di uomini irriflessivi, che agivano prevalentemente d’istinto. A favore di Mel bisognava dire che, contrariamente a Hoyt, lui non pareva essere d’accordo con tutto quello che Jason diceva. Conoscendolo solo superficialmente, mi sembrava che fosse un tipo a posto, e il fatto che fosse una delle poche pantere mannare che non vivevano a Hotshot deponeva a suo favore, oltre a poter costituire il motivo per cui lui e Jason erano diventati così buoni amici. Entrambi erano come le altre pantere mannare, ma vivevano separati da esse.
Se mai avessi ripreso a parlare con Jason, avevo una domanda da rivolgergli: per quale motivo, in quella serata così importante per tutti i mannari e i mutaforme, lui non aveva colto l’occasione per accaparrarsi in parte la luce dei riflettori? Jason era molto compiaciuto della sua condizione alterata di pantera mannara, anche se aveva contratto il virus (o quello che era) a causa dei morsi ricevuti da un’altra pantera mannara, invece di essere nato con la capacità di trasformarsi, com’era invece il caso di Mel. La forma alternativa di Jason era umanoide, completamente coperta di pelo, con un muso e artigli da pantera, e faceva davvero paura, a quanto mi aveva detto. Il fatto di non essere uno splendido animale gli seccava. Mel invece era un purosangue, e sarebbe apparso splendido e terribile, se si fosse trasformato.
Forse era stato chiesto alle pantere mannare di rimanere nell’ombra perché facevano troppa paura. Se una creatura grossa e letale come una pantera fosse apparsa nel bar, quasi certamente la reazione dei clienti sarebbe stata molto più isterica.
Sebbene il cervello degli animali mannari fosse molto difficile da decifrare, potevo percepire la delusione che le due pantere stavano condividendo, e mi sentii certa che la decisione fosse stata presa da Calvin Norris, in qualità di loro capo. Una buona mossa, Calvin, pensai.
Dopo aver aiutato Sam a chiudere il bar, gli elargii un abbraccio quando passai nel suo ufficio per recuperare la borsetta. Appariva stanco, ma felice.
— Ti senti davvero bene quanto sembra a guardarti? — domandai.
— Sì. Adesso la mia vera natura è una cosa nota, ed è liberatorio. Mia madre ha giurato che stanotte lo avrebbe detto al mio patrigno, e sto aspettando una sua telefonata.
Quasi avesse avuto l’imbeccata, il telefono suonò, e Sam sollevò la cornetta senza smettere di sorridere.
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