"L'eredità di Iside" di Francesco Gioè

Titolo: L’eredità di Iside
Autore: Francesco Gioè
Editore: Neftasia Romanzi
Pagine: 375
Prezzo: € 18,00
Pubblicazione: 2011

Avete presente quando da bambine/i (oddio, magari qualcuno pure ora... Nulla di male, ovvio!), nei luna park, si entrava in quelle attrazioni solitamente chiamate “La casa degli spettri” o “delle streghe”, “Il castello incantato” o altro del genere, e tra i labirintici corridoi ci si meravigliava o ci si spaventava con sorprese varie e assortite a ogni svolta? Alla fine si usciva da quei posti magari un poco frastornati, ma solitamente divertiti e compiaciuti...
Ecco: con le dovute e doverose distinzioni del caso, la lettura de “L’Eredità di Iside”, opera prima di Francesco Gioè pubblicata per Neftasia Editore, mi ha ricordato sotto certi aspetti quelle sensazioni – ma, ribadisco, non sto paragonando il romanzo ad una giostra, quanto più a – per così dire – lo spirito di essa, al suo continuo generarsi a fini di suggestione e sorpresa costanti...
Anche se di “giostra”, o meglio del giostrare di un sacco di elementi diversi si può sicuramente dire, a riguardo di quest’opera certamente particolare, indefinibile se non con espressioni mai del tutto esaustive, multiforme e sui generis ovvero “super generis”, per come s’avvicina di continuo a vari stilemi letterari, vi si accosta, pare unirvisi eppoi all’improvviso vi si allontana nuovamente per prendere una nuova e diversa direzione.
Beh, vediamo di mettere un punto fermo, un fulcro, ecco, per tutto questo girandolare narrativo. La trama: articolata, corposa, fors’anche un poco debordante ma non intricata, non arruffata. Vi si muove in essa Gregorio Gendusa, il protagonista del romanzo, un tipo alquanto strano, quarantenne pieno di fobie e di contraddizioni esteriori e interiori, ma anche il classico (all’apparenza) vicino della porta accanto che pensi sia un qualcosa e poi scopri che invece è tutt’altra cosa. Gendusa è un agente del GRIV, una sorta di servizio segreto svedese che opera su scala mondiale per prevenire i danni dovuti ai cambiamenti climatici, ma i cui reali ed effettivi fini, in verità sono ben più criptici... E proprio una cripta, in una chiesa di Palermo, nella quale vengono ritrovati degli antichi e misteriosi documenti, coinvolge il protagonista nel cuore della narrazione ovvero nel calderone di storia, religione, mitologia, scienza, mistero, magia, paranormalità e quant’altro, la cui continua ebollizione proferisce il dipanarsi della storia, dei bizzarri eventi che ne fanno parte nonché dei tanti personaggi che la movimentano, tutti piuttosto particolari e la cui presenza secondaria (rispetto a quella di Gendusa, intendo) non evita all’autore di costruirli con rimarcabile fantasia e gusto quasi teatrale.
Insomma, la storia corre veloce tra mille bivi, deviazioni, devianze e mutazioni veramente come in una labirintica giostra che sappia regalare qualcosa di impressionante ad ogni svolta d’angolo, finché il percorso tende a diventare via via più definito convergendo nella misteriosa Africa centrale, sorta di luogo-simbolo della più misteriosa e ancora sfuggente ancestralità, nel quale la storia troverà un suo degno epilogo, indubbiamente in tono con la narrazione dal quale si è generato.
La prima cosa che balza all’occhio, nell’avere tra le mani il romanzo di Gioè e sfogliarne le pagine, è la insolita struttura tipo-grafica del testo, ricco di illustrazioni d’ogni genere e sorta a corredo di quanto narrato. Pare quasi di avere davanti agli occhi un saggio scientifico, più che un romanzo, e in effetti in diversi passaggi il tono della narrazione assume una foggia saggistica, accademica, per poi subito dopo rituffarsi nella trama romanzesca vera e propria. Questo stile insolito potrebbe forse far storcere il naso a qualcuno, anche per una mera sensazione di discontinuum grafico, appunto; d’altro canto non si può non affermare che in tal modo il testo risulti più suggestivo, più “catturante” l’attenzione del lettore nonché in grado di aiutare lo stesso, proprio grazie agli ausili grafici, a non smarrirsi nel suddetto ribollente calderone narrativo. In ogni caso, dove lo stile è più classicamente fatto di parole, risulta piuttosto vivace, veloce, palesante una considerevole padronanza della lingua e pure di una bella e utile dose di ironia, che diviene spesso sarcasmo, assai confacente agli eventi narrati. Vi è certamente qualche “forzatura”, qualche scarto eccessivo e un poco disorientante, che tuttavia può anche essere considerata inevitabile, visto appunto lo stile in questione, e che nel complesso non inficia il correre rapido della lettura.
Frutto di una similare scelta stilistica, ho trovato interessanti anche le tantissime citazioni che aiutano a tratteggiare le varie scenografie – soprattutto emozionali, più che ambientali – sullo sfondo della storia: ce n’è per tutti i gusti, da menzioni di personaggi celebri a passaggi di testi musicali e poetici, che peraltro a loro volta dimostrano la corposa ricerca bibliografica sulla quale l’autore ha certamente basato la costruzione della propria opera.
In effetti, le migliori peculiarità de “L’Eredità di Iside”, ovvero quelle appena esposte, potrebbero paradossalmente rappresentare, nella considerazione di qualche lettore, i punti deboli: come avrete ormai inteso, non dovete aspettarvi dal romanzo di Gioè un qualcosa di classico, di lineare e di tranquillo, ma una forma-romanzo inquieta, multidirezionale, quasi mutante, alla quale vi dovete adattare, qui, e non viceversa, come accade con tanti libri che invece ammiccano platealmente alla moda e al gusto di lettura comune, a volte con non poca ipocrisia. Ho comunque apprezzato la mole di lavoro – bibliografico prima e letterario poi - che Gioè si è sobbarcato per portare a termine la stesura de “L’eredità di Iside”, così come la ricerca di una espressività fuori dal comune, o quanto meno fuori dal solito (spesso stonato) coro. Poi, ribadisco, un così ribollente effetto finale potrebbe lasciare qualcuno frastornato... – proprio come, al luna park, chi si avventura su attrazioni troppo “spinte” essendo invece abituato alle più tranquille, e francamente più insulse, giostrine rotatorie...
Nota finale per la bella copertina “d’artista”, opera di Tommaso Baldassarra, in arte Maso Illustratore.
Una lettura senza dubbio apprezzabile, insomma, anche solo per la particolarità che offre, e un suggestivo viaggio letterario che potranno apprezzare in tanti.

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